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Edizione provinciale di Torino


Turno di serie A con doppio scivolone per Juve e Toro

Due sconfitte in fotocopia, osservando l'andamento della partita, che aprono altrettante crisi sul fronte calcistico torinese. Sabato da tregenda per Torino e Juventus, che devono cominciare a porsi seri interrogativi sull'andamento della loro stagione e trovare molto in fretta una soluzione ai problemi che altrimenti rischiano di compromettere in maniera irreparabile le rispettive annate.

Cambio di timoniere con rotta ancora lontana da trovare in casa granata. Non che Moreno Longo in pochi giorni potesse magicamente risollevare le sorti del Toro, ma neanche contro la Sampdoria, passata con pieno merito all'Olimpico Grande Torino, si sono visti segnali di risveglio. Ancora troppo timidi e frastornati Belotti e compagni, apparsi più preoccupati di svolgere senza sbavature il compitino tattico assegnato che di prendere il proprio destino per le corna e invertirlo, risalendo la china.

 

Maggiore determinazione rispetto alle più recenti, disastrose, gare solo nella fase iniziale dell'incontro, ma totale assenza di lucidità nell'impostazione della manovra e precisione nell'ultimo passaggio al momento di concretizzare la mole (poca) di gioco prodotto. In un primo tempo soporifero era ancora Sirigu (ormai non fa più notizia) a tenere a galla i granata iniziando la sua personale battaglia, persa a lungo andare, con lo scatenato Gaston Ramirez.

 

La ripresa sembrava iniziare sotto i migliori auspici grazie all'episodico vantaggio frutto della scaltrezza di Verdi, abile ad approfittare del liscio di Colley, ma ben presto ripiombava il buio. Subìta su punizione la pennellata mancina d'autore dell'uruguaiano blucerchiato, il Toro perdeva tutte le proprie labili certezze e si smarriva. La confusione difensiva sulla rete del vantaggio doriano timbrata ancora da Ramirez era emblematica, così come lo svarione sul lancio in profondità per Quagliarella che costringeva Izzo a commettere fallo da rigore vedendosi anche sventolare davanti al naso il cartellino rosso. L'impietosa trasformazione dal dischetto dell'ex ragazzo del Filadelfia metteva la parola fine ad un'altra serata da incubo del campionato torinista.

 

Per il giovane tecnico granata la parola d'ordine è prima di tutto ricostruire il morale dei giocatori, ricompattando il gruppo e rinsaldando le poche certezze rimaste. Per rialzare la testa sarà necessario tornare presto a fare punti, possibilmente fin dalla prossima improba trasferta in casa dell'altro malato illustre Milan, ancora sotto shock per l'esito del derby. Vendicare, sportivamente parlando, l'eliminazione in Coppa Italia sarebbe un toccasana da ricercare attraverso massima concentrazione, schieramento tattico concreto e lo spirito battagliero ormai sconosciuto nelle ultime esibizioni. Solo dopo aver rimesso in carreggiata la squadra ed aver allontanato lo spettro della zona retrocessione, Longo potrà dedicarsi ad esperimenti tattici nuovi con giovani ed inediti interpreti (Millico su tutti).

 

A forza di scherzare col fuoco l'indecifrabile Juventus ha finito per scottarsi e Verona (Fotografia: Eurosport) è diventata fatale anche per i bianconeri, raggiunti al comando dall'arrembate Inter e con la sempre più solida e spumeggiante Lazio ad incalzare staccata di una sola lunghezza. Nell'appassionante lotta a tre verso lo scudetto l'inerzia sembra essersi spostata dalla parte di nerazzurri e biancocelesti. A febbraio inoltrato la squadra di Sarri non ha ancora trovato la sua identità vittima di un "vorrei ma non posso". I dettami tattici del tecnico toscano non sono stati recepiti, i continui cambi di modulo (specie in avanti) non danno certezze, la scarsa capacità di lettura delle partite dell'allenatore, la "pancia piena", una certa supponenza di troppi giocatori (molti dei quali non sempre all'altezza del palcoscenico su cui recitano) e le frizioni sempre più palesi col timoniere stanno facendo il resto.

Difficile spiegare altrimenti un rendimento altalenante, specie lontano dallo Stadium, con giustificazioni preventive della vigilia di Sarri in conferenza stampa. In linea teorica il gruppo dovrebbe seguire il "sarrismo", ma una volta passati in vantaggio i bianconeri, invece di continuare ad azzannare la partita per chiuderla, lasciano strada il "risultatismo", ancora profondamente radicato nel dna dello zoccolo duro, senza però avere più la solidità difensiva (eccessive le reti incassate di testa con l'avversario che colpisce libero dentro l'area piccola, oltre agli errori di posizionamento e in chiusura), la mentalità, la concentrazione e il cinismo per gestire la situazione, come se avere sbloccato il risultato e vestire la maglia bianconera fossero condizioni sufficienti per non venire ripresi dagli avversari.

Inevitabile conseguenza le troppe reti e rimonte subìte, i rigori fischiati a sfavore per interventi fuori tempo o "pallavolistici" in area, le energie e le occasioni da rete dilapidate. Imbarazzante anche il passo tenuto e la svagatezza mostrata dai centrocampisti, sempre più spesso battuti sul ritmo dagli avversari, ultimi in ordine di tempo gli "assatanati" dell'Hellas, che in occasione del pareggio del rapace Borini hanno messo alla berlina la dabbenaggine di Bentancur e Pjanic. Le prodezze dei singoli, su tutti un Cristiano Ronaldo in stato di grazia che anche a Verona si è letteralmente inventato un gol, sembrano non bastare più a togliere le castagne dal fuoco e il momento cruciale della stagione è ormai alle porte.

Nulla è ancora perduto, ma per non ritrovarsi a maggio con un pugno di mosche in mano è necessario riacquisire in fretta il carattere, la mentalità vincente (a partire dall'allenatore) e il pragmatismo tipici della Vecchia Signora. Forse, per quest'anno, il bel gioco e lo spettacolo possono ancora attendere.

 

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  Scritto da Luca Ceste il 10/02/2020
 

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