La Juve vince il derby ma dal Toro arrivano segnali di risveglio
Un Sirigu in forma strepitosa tiene a galla sino al termine il Toro, ma una Juve concentrata e “sul pezzo” piazza la zampata vincente facendo valere con cinismo la maggiore caratura e fa suo un derby spigoloso, “sporco”, ma allo stesso tempo vibrante e dalle immancabili polemiche secondo tradizione (fotografia: sito ufficiale Torino F.C.).
Nella stracittadina i granata hanno mostrato di avere ritrovato il carattere, sfoderando una partenza nel segno del “tremendismo” di arpiniana memoria, che ha per una buona mezz'ora sorpreso e messo in crisi i bianconeri. Ritmo incalzante, pressing, determinazione su ogni pallone e attenta chiusura degli spazi con ricerca delle ripartenze le armi della squadra di Mazzarri, che ha irretito il gioco degli uomini di Sarri, il cui approccio alla gara, soprattutto conoscendo la prevedibile partenza a razzo che avrebbero proposto gli avversari, non ha convinto ed è apparso ancora una volta presuntuoso.
Pecca fatale ai torinisti, al di là dell'episodio incriminato in area juventina (madre di tutte le polemiche) di cui si tratterà in seguito, l'ormai cronica impalpabilità offensiva, con il solo encomiabile capitan Belotti a reggere il peso dell'attacco, svariando anche sulle fasce dove a turno creava grattacapi agli “improvvisati” esterni Cuadrado e De Sciglio. Non pervenuti Verdi prima, Zaza poi e l'imberbe Millico nel finale; evaporati alla distanza Aina e Ansaldi; centrocampo di sostanza, ma di fosforo e creatività scarsi. Troppo poco un tiro dalla distanza di Rincon, l'enorme occasione divorata da Meité e l'orgogliosa serpentina di Ansaldi sventata d'istinto da un provvidenziale Szczesny, per sperare di uscire indenni dal campo.
Passato lo spavento e serrate le fila (reparto arretrato finalmente solido), la Juve, pur lontana dalle sue serate migliori, riprendeva a carburare nonostante un centrocampo farraginoso e poco illuminato ed un attacco in cui gli spunti di Dybala non erano sufficienti a compensare il mancato apporto di un sempre opaco Bernardeschi e di un evanescente Ronaldo, tra i peggiori in campo. In soccorso di Madama venivano però i suoi campioni, che a gioco lungo facevano la differenza. Prima dell'intervallo Sirigu doveva superarsi su Dybala, Bonucci e De Ligt, che faceva le prove generali del gol; nella ripresa il portoghese faceva suonare un altro campanello d'allarme in casa granata e l'ingresso di Higuain (al momento l'elemento imprescindibile del settore avanzato bianconero) dava la scossa esaltando prima il portiere avversario nell'azione più bella della partita, poi servendo all'olandesino l'assist per il colpo decisivo.
Fiaccato nel morale dalla rete incassata, al Toro non rimaneva che l'orgoglio per cercare di riequilibrare la situazione negli ultimi venti minuti, ma il muro della ritrovata convinzione bianconera nei propri mezzi era invalicabile e Sirigu doveva fare gli straordinari su Ramsey per non rendere ancora più amara la sconfitta. Analizzata la gara, riavvolgiamo il nastro e torniamo per alcune doverose considerazioni sul mani in area juventina di De Ligt dopo dieci minuti, che se sanzionato avrebbe forse cambiato il corso degli eventi. Inutile stare a disquisire se fosse o meno calcio di rigore: le due tifoserie resteranno sempre ferme sulla proprie opposte posizioni, si può solo prendere atto (malgrado o di buon grado, a seconda che si indossino occhiali a tinte granata o bianconere) della decisione presa sul campo dall'arbitro e avallata dal VAR.
Quello che lascia interdetti è come i quattro episodi analoghi capitati allo “sfortunato” difensore juventino nel giro di un mese siano stati valutati in due occasioni in una maniera (rigore contro Inter e Lecce) e in altre due in modo opposto (nessuna sanzione contro Bologna e Torino), indice di una casistica regolamentare troppo articolata e complessa, non univoca, che lascia ancora ampi margini di interpretazione al direttore di gara e ai suoi assistenti video, col rischio di scontentare tutti accendendo animi e polemiche che spesso sfociano in stucchevoli accuse al “sistema” e al differente “peso politico” dei vari club.
A tal proposito urge un chiarimento fra i vertici arbitrali e le altre componenti del calcio per una ridefinizione più lineare del protocollo VAR, pur tenendo conto che l'unico organismo deputato a modificare le regole del calcio è l'International Board. Ridefinizione, si badi bene, non drastica semplificazione con introduzione della regola per cui qualsiasi tocco di mani di un difensore nella propria area causerebbe il rigore, così come accade già ora con l'annullamento di ogni rete viziata da un fallo di mani, volontario o involontario che sia. In tal caso le partite diventerebbero un luna park con svariati tiri dagli undici metri e punteggi tennistici. In mancanza di sviluppi del regolamento non resterebbe altro che accettare che dietro ad ogni decisione dell'arbitro ci sta sempre un uomo, sia esso col fischietto in campo o davanti al video del VAR, con la propria soggettiva interpretazione dei fatti e del regolamento e la possibilità di commettere, non in maniera fraudolenta, degli errori.
Chiosa finale per il futuro prossimo delle due squadre torinesi. La Juve, conservata un'altra volta a fatica la vetta della classifica, dovrà concentrarsi sul rendere sempre più granitica la retroguardia e sul mettere a frutto il suo enorme potenziale offensivo, di modo da azzannare e chiudere le partite non lasciandole aperte fino ai minuti di recupero. Il Toro, dal canto suo, dovrà ripartire dalla bella prestazione caratteriale mostrata contro i “cugini”, non continuare ad attaccarsi agli episodi per giustificare i passi falsi e lavorare sodo per essere più incisivo e concreto in zona gol, con l'obiettivo di tornare presto a fare punti e risalire posizioni in classifica.