Moriva 52 anni fa Gigi Meroni, la Farfalla Granata
Cinquantadue anni fa moriva Gigi Meroni, la Farfalla Granata. Era il 15 ottobre del 1967, di domenica, dopo un vittorioso Torino–Sampdoria 4-2. Gigi venne travolto da un’auto, mentre attraversava corso Re Umberto a Torino. Era in compagnia dell’amico Fabrizio Poletti stava rientrando a casa ed era quasi sull’uscio. E’ passato più di mezzo secolo, ma l'amore e il ricordo per questo sfortunato campione è sempre vivo nei cuori degli sportivi granata, ma non solo. Meroni è stato forse uno degli ultimi veri artisti del calcio italiano. Se n’è andato troppo presto, a soli 24 anni. Lo piansero proprio tutti, compagni e avversari.
Nella sua breve ma fulminante carriera, ha regalato tanto, tantissimo agli amanti del calcio e molto altro ancora avrebbe potuto donare. Un talento raro, come un fiore che sboccia una sola volta da quanto è unico e meraviglioso. Sfuggiva ad ogni raffronto perché era semplicemente solo e soltanto lui. E Meroni non poteva essere assolutamente diverso da come era, proprio perché era…Meroni. Gigi ha rappresentato molto più di un giocatore di calcio. E’ stato la poesia nel calcio. E’ stato una boccata d’ossigeno e di aria pura, un vento di libertà per il calcio, ma non solo, e a modo suo quasi un precursore dei tempi e di una generazione, quella del ’68. Cinquantadue anni da quel giorno, oggi. Cinque più due che fa sette. Come il suo numero di maglia al Torino. Il “7” è il numero che rappresentava nel calcio di una volta il giocatore all’ala capace di corse a perdifiato sulla fascia, di dribbling funambolici, il genio e la sregolatezza, e quella classe cristallina che non puoi ingabbiare in alcun schema, proprio come una farfalla.
Luigi Meroni nasce a Como il 24 febbraio 1943. Calcisticamente cresce proprio nelle giovanili del Como e passa poi dai lariani al Genoa nel 1962. “U Meruni” così era chiamato in Curva Nord a Marassi, il tempio del tifo del vecchio “Zena”. Quando si sparse la notizia che sarebbe stato venduto al Toro, i tifosi del Genoa presero d’assalto la sede della società ligure. Gli stessi episodi si sarebbero verificati poi qualche anno dopo anche a Torino, quando si fecero insistenti le voci di un corteggiamento insistito dell’ Avvocato Agnelli per portarlo alla Juventus, ma il Fato stavolta si mise di mezzo per consegnarlo, purtroppo, all’eternità della Leggenda Granata. Orfeo Pianelli crede nel ragazzo e lo mette a disposizione dell’allora Mister, il grande “Paron” Nereo Rocco, a partire dalla stagione 1964-65. Nel Torino disputerà poco più di tre campionati di serie A e 122 partite (di cui 103 in campionato, 7 in Coppa Italia e 12 nelle competizioni europee) realizzando 25 gol (di cui 22 in campionato) ed un’infinità di assist e giocate di autentica cineteca calcistica.
Con i granata vincerà la Coppa Italia nel 1968. Non molto fortunata fu la sua esperienza con la Nazionale Italiana, con cui colleziona solo sei presenze e la famigerata spedizione “azzurro tenebra” ai mondiali inglesi del 1966. Meroni al Torino è amore a prima vista. “Calimero”, come fu anche ribattezzato dalla passionale tifoseria granata, è un attaccante estroso e imprevedibile dotato di una tecnica sopraffina che mette però a disposizione della squadra. Chi ne trae beneficio è soprattutto il centravanti (e amico fraterno) il franco-argentino Nestor Combin, soprannominato “la Foudre” (o la “Folgore”) che, grazie agli assist di Gigi, segna goal a raffica.
Memorabile la sua tripletta nel derby giocato la domenica successiva alla scomparsa di Gigi e vinto contro la Juventus per 4 a 0, con il quarto gol segnato da Carelli, lui l’erede designato suo malgrado, quel giorno con addosso proprio la maglia numero “7” di Gigi, vedi, alle volte però il destino. Meroni è l’autentico uomo-squadra perchè “spacca” le partite ed è capace di mettere a disposizione del collettivo tutto il suo infinito repertorio di colpi e fatto di veroniche, finte e controfinte, di velocità e di dribbling che però non restano mai fini a se stessi. Genio contro-corrente anticonformista ed estroso, ama la pittura e disegnarsi gli abiti. Il calciatore “beat” con la barba lunga e i capelloni, e con quei calzettoni sempre abbassati sulle caviglie e quegli atteggiamenti che in molti gli rimproveravano senza pensare e senza rendersi conto del personaggio unico e irripetibile che avevano davanti. Era forse un individualista perché voleva tenere sempre lui la palla tra i piedi ed anche per questo veniva preso di mira dai difensori avversari, lui al grido di “prova a prendermi!”, loro, i difensori, a provare a prenderlo e per questo quando lo prendevano Gigino le botte se le prendeva anche un po’ per i suoi compagni. Ma lui non si lamentava mai, mai una reazione, mai una sceneggiata in campo né una simulazione o un atteggiamento fuori dalle righe, lui subiva e si rialzava sorridendo perché era un buono e giocava al gioco più bello del mondo e tutti, avversari compresi, finivano per volergli bene.
E anche noi Caro Gigi.